CITY LIGHTS - Capitolo 9

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walkonthemoon
view post Posted on 4/5/2013, 13:21




CITY LIGHTS


Capitolo 9



Dopo un po’ di tempo Jared gli lasciò la mano e Colin tornò sul divano per cercare di dormire. Per qualche ragione rimase disteso e sveglio per il resto della notte. Jared non avrebbe smesso di essere nella sua mente, e quella notte lo vedeva di fronte a lui, con i suoi folti capelli che gli incorniciavano il viso, e le sue lunghe ciglia nere. Era così diverso… strizzò forte gli occhi, chiudendoli, per cercare di scacciar via quelle immagini. Come diavolo era arrivato a quel punto? Tutto era iniziato quando aveva offerto a Jared un posto per dormire, ed ora stava iniziando a farsi coinvolgere nella sua vita. Lui non voleva che…non poteva volerlo! E se lo avesse fatto? Ma no, non poteva essere, era così dannatamente sbagliato, aveva conosciuto quel Ryan, che gli aveva fatto capire quali erano le priorità nella sua vita – ed effettivamente era proprio come lui aveva pensato potesse essere.
Ma Jared…Jared era diverso. Aveva quegli amici, sì, ma ciò non significava necessariamente che lui fosse come tutti gli altri. ‘Dannazione, Farrell! Tu non sai nulla a proposito di quella puttana che è nel tuo letto!’ si ripeteva. Oh, però, Jared non era una puttana qualunque, non agli occhi di Colin, e se ne era già precedentemente convinto.
‘Cosa farai? Stai dimenticando tutto?’ la sua mente lo stava facendo impazzire, cercava di punirlo. ‘No…come avrebbe potuto dimenticare quello che era successo?!’ Ma intanto la vita doveva andare avanti. Era pura ironia, e forse la cosa più sbagliata da fare o sentire – ma che diavolo avrebbe dovuto fare? Era così stanco di se stesso e non poteva vivere con quel dolore che allontanava il suo cuore da tutto il resto.
Gli piaceva Jared, ed era arrivato il momento di ammetterlo, anche se era così fottutamente difficile.
No, quei sentimenti non erano così forti…no, ed ancora no! Scuotendo la testa, si mise seduto. E si portò le mani in grembo. Era solo la sensazione di un bisogno momentaneo. ‘Oh dio, Farrell !Chi vuoi impressionare con questo?! Stai proprio iniziando ad innamorarti!’
“No, non lo sto facendo!No!” Colin sibilò, gettando via le coperte ed alzandosi. Aveva bisogno di bloccare quella conversazione con la sua mente. Stava parlando da solo, anzi in realtà stava discutendo con se stesso…’fantastico!’ pensò.
Quando si guardò intorno per cercare il suo orologio, si accorse che erano già le sette. Beh, non era proprio l’ora migliore per svegliarsi e stare in piedi il sabato mattina…perciò, aspirina e sigaretta!
Dopo aver indossato una tuta sportiva, che aveva lasciato - grazie a dio - in bagno, prese guanti e soldi. Correre intorno al parco per qualche ora sarebbe stato il miglior modo per liberare la mente, ed in ogni caso, sarebbe passato dal panificio, per poter prendere qualche ciambella sulla via verso casa.
Quando Jared si svegliò per la luce del sole, stette qualche secondo ancora disteso ad ascoltare. Niente, era tutto tranquillo, Colin probabilmente stava dormendo. Sentì la sua guancia umida e notò le lacrime essiccate che avevano macchiato il cuscino. ‘Diavolo…si era comportato come un cazzo di bambino!’ Ma lui aveva ancora voglia di piangere, perché aveva ancora sognato quella maledetta notte, quando era stato con quell’uomo che l’aveva violentato. Ma quella volta non si era nascosto nel suo bel posto sicuro, aveva preferito avere Colin vicino.
Colin lo aveva tenuto la scorsa notte, e si era preso cura di lui…di nuovo. Aveva incontrato Ryan e aveva ascoltato quello che aveva detto, e aveva compreso che Ryan pensava che lui non fosse più che un cliente. E Colin continuava a preoccuparsi di Jared, che era ancora lì.
‘Lui andrà via come tutti gli altri’ un'altra voce nella sua mente lo interruppe. Lo farebbe davvero? Beh, per quale motivo avrebbe dovuto volere che Jared restasse, non c’era nulla che avrebbe potuto dargli. Lui non era di alcuna utilità. Non era assolutamente quello di cui Colin aveva bisogno, nessuno aveva bisogno di una puttana, se non per il sesso. ‘Rimanere quanto tempo volevano che rimanessi e lasciarli poi il più velocemente possibile’, un’altra regola che poteva salvargli la vita.
Allora, che cos’era, quello di cui Colin aveva bisogno? Un compagno, un amante…o semplicemente un amico con cui parlare? Jared poteva essere tutto ciò, almeno fino a quando qualcuno glielo avrebbe chiesto. No, quello sarebbe stato sbagliato. Non avrebbe potuto iniziare un gioco con Colin; c’erano state diverse occasioni per prenderlo e buttarlo fuori e poi…non lo aveva toccato nel modo in cui qualsiasi altro uomo aveva fatto. Le loro dita erano dovunque, toccavano, sfregavano, esploravano, e lui ormai si era abituato, e non gli importava più. Lui era il giocattolo con cui giocare e non c’era niente di sbagliato in ciò; era soltanto il suo lavoro, essere gentile, bello e disponibile.
Colin tuttavia non sembrava molto impressionato da tutto ciò, né sembrava che lo guardasse come un oggetto sessuale. Ad ogni modo, lui non era nient’altro di più, soltanto la visione di qualcosa che chiunque avrebbe potuto ottenere se solo lo avesse voluto.
In lui era rimasto qualcosa in grado di riconoscere un sentimento come l’amore? Colin gli piaceva, perché lo stava trattando come lui avrebbe trattato i suoi amici – almeno così credeva – e non aveva cercato di dormire con lui o…qualsiasi altra cosa. Certo, non poteva nemmeno dire di fidarsi di Colin o se lui era semplicemente contento di stare con qualcuno che non lo stava ospitando come se fosse solo una splendente novità che gli avrebbe portato denaro. Sicuramente Jared sentiva il bisogno di ricambiare Colin.
In piedi, aprì la porta il più silenziosamente possibile e controllò la stanza per cercare qualche segno di Colin. Non era sul divano e nessun suono proveniva dal bagno. Beh, i suoi guanti erano spariti dal tavolo e non li vide in nessun altro posto quando giunse in salotto.
In realtà quella situazione non era niente male… così poteva finire il lavoro che aveva iniziato il giorno precedente. Colin arrivò davanti alla porta di casa sua ben due ore dopo, non completamente zuppo di sudore. Aveva infatti camminato per la maggior parte del tempo, troppo stanco per correre. Beh, effettivamente era un pigro bastardo, ma non gliene fregò niente in quel momento, poteva correre a lavorare due giorni dopo, quando ne avrebbe avuto disperatamente bisogno. Inoltre faceva maledettamente freddo per muovere le gambe così tanto da iniziare a correre. Sbadigliando, aprì la porta, ma lo sbadiglio gli si bloccò in gola quando vide quello che Jared stava facendo. Era in ginocchio davanti alla credenza sotto la TV, le ante erano aperte, un cassetto era per terra accanto a lui, con tutti i giornali e un po’ di libri sparsi sul pavimento. Tutto il suo ordine era stato trasformato in un caos di note e ricordi, e Jared si trovava in mezzo, mentre vedeva e toccava le varie scartoffie.
“Ma che diavolo…?!” urlò, calciando la porta per chiuderla, si precipitò nella stanza e s’inginocchiò davanti alle carte. Jared balzò dopo l’improvvisa apparizione di Colin, che lo guardava furioso e sofferente. Vedendo Colin raccogliere con una certa cura le carte e metterle insieme, non si aspettava, certo , che avesse voluto una spiegazione.
“Queste sono mie” mormorò, tenendo le carte premute sul petto con una mano mentre con l’atra accarezzava un libro, “niente è affar tuo, sono fatti miei, non tuoi. E’ tutto quello che mi è rimasto…tutto.”
La gola di Jared si strinse alle parole di Colin, che sembrò così perso e ferito, come se qualcuno - Jared – avesse invaso il suo spazio privato.
“Giuro, non le ho guardate” disse Jared, cercando di calmare l’altro uomo, ma non osò toccarlo, temendo un pugno in faccia. Aveva fatto qualcosa di sbagliato, e Colin si era infuriato, e sicuramente lo avrebbe punito. Lo sguardo distante degli occhi di Colin lo fece rabbrividire… lo conosceva, certamente lo conosceva , ma non aveva mai pensato che qualcuno come Colin potesse trovarsi in quello stato di miseria. Lui era abbastanza forte per combattere contro il dolore, ma allora Jared realizzò che anche Colin portava un dolore nel cuore, e che non poteva smettere di soffrire semplicemente non pensandoci. Jared alla fine si ritrovava con un ago nel braccio per fermare il dolore per un po’, ma si rendeva conto che non era un’opzione per Colin, così ‘cosa avrebbe dovuto fare?’ La rassicurazione lo aveva aiutato, cosi forse avrebbe aiutato Colin, ed anche sapere che c’era qualcuno lì per lui – qualcuno come Jared, ma almeno qualcuno. Tenendosi lontano dal cassetto di Colin, sussurrò il suo nome dolcemente. Girando intorno, Colin si stropicciò gli occhi per avere di nuovo una visione chiara, e a Jared sembrò che i suoi occhi fossero stati logorati dal dolore.
“Mi dispiace” sibilò soltanto Jared.
Colin scosse la testa. Non c’era nulla di cui dispiacersi e la colpa non era sua. Jared non poteva sapere che quella credenza era il luogo più segreto del suo maledetto appartamento, dove tutti i ricordi erano stati sepolti e chiusi a chiave. In quel momento quei ricordi erano ancora lì, belli e pronti per esser visti, come se avessero deciso che non poteva dimenticare nascondendo tutto. Ed era giusto, Colin aveva soltanto messo tutto dietro quelle ante di legno – ma le ante non potevano aprirsi e perseguitarlo. Forse era arrivato il tempo di fermare tutto, semplicemente per cercare di accettare quello che era accaduto ed andare avanti. Qualcun altro era inciampato nella sua vita allora, e beh, quello poteva essere un indizio. Forse doveva dimostrare che era tempo di lasciar andare tutto e ricominciare da capo. Ancora con qualcuno nuovo, qualcuno che poteva amare, anche se era la cosa più folle in assoluto da fare. Ma la via più irrazionale poteva essere infine la migliore. Prendendo alcune carte e appunti, li ripose nel cassetto e si accorse che le mani di Jared stavano tremando leggermente.
“Non è colpo tua. Avrei dovuto dirti che quella credenza è…speciale.” Disse Colin mostrando un piccolo sorriso con aria afflitta. Jared si limitò ad annuire.
“Io non le ho lette” affermò poi indicando le diverse carte sparse tra lui e Colin. Mentre prendeva il cassetto per rimetterlo di nuovo nella credenza, allungò un braccio per uno dei libri e lo spinse nelle mani di Jared.
“E’ tutto.. beh, è complicato, ma queste cose racchiudono dei ricordi.”
Annuendo di nuovo, Jared prese il libro e lo aprì. Le sue sopracciglia balzarono su e guardò Colin che sembrava accigliato e sorrise appena, un po’ triste.
“E’ braille” disse Colin, facendo un respiro profondo, “il mio ragazzo era cieco.”
Chiudendo il libro Jared glielo restituì immediatamente e lo guardò come un cerbiatto innocente.
“Non avrei dovuto farlo. Ho riportato alla tua memoria questi ricordi di nuovo, io…”
“No, va tutto bene, ora.” Colin lo interruppe ed si avvicinò per accarezzarli un braccio.
Improvvisamente Jared si sentì di nuovo come la notte precedente, quando lo aveva tenuto stretto tra le sue braccia, e stava bene. Lui non avrebbe voluto far saltar fuori l’argomento della polizia per qualche giorno, sarebbe stato meglio soltanto non pensare a nulla in riferimento alla violenza.
“Allora, non sei arrabbiato? Voglio dire, ieri e oggi, e …”
“Ehi, ehi…” sorrise , “se non vuoi ricordare l’episodio della polizia, terrò la bocca chiusa, e oggi, beh, hai aperto qualcosa del passato per caso. Immagino che il tempo per fermare il dolore non esista, e che sarà con me ovunque io vada. Ed ora che sai di tutto ciò, sarebbe stupido proseguire come se nulla fosse accaduto, non credi?
Jared non sapeva cosa dire. Era giusto per Colin volersi aprire di più nei suoi confronti, a proposito di quella, che a quanto gli aveva detto, era stata probabilmente una pessima fase della sua vita? E lui era giusto per ascoltare? Lui, che non era nemmeno capace di comprendere quanto Colin doveva aver amato qualcuno che poi se ne era andato. ‘Dannazione…ma non poteva dire no’, proprio allora che Colin sembrava essere in grado di parlarne, anche se a qualcuno che a malapena conosceva. Infine riuscì a mostrare un sorriso rassicurante quando Colin lo guardò.
Mettendosi il libro in grembo, dopo aver incrociato le gambe, prese un respiro profondo. Sarebbe stato difficile, ma allo stesso tempo bello, riuscire a parlare di tutti quei ricordi che erano rimasti dentro di lui per lungo tempo.
“Un anno e mezzo fa, Cleo mi invitò ad andare d una delle sue dannate feste ed per accompagnarla, essendo un gentleman , accettai. Birra gratis, cena e un po’ di buona musica sarebbe stato meglio che guardare stupida TV per l’intera notte. Bene, io non conoscevo molti dei suoi amici, cosi mi ritrovai in qualche angolo vicino al bar mentre la guardavo ballare e parlare. I suoi amici erano tutti un po’… beh, snervanti e mentre festeggiavano non si riusciva nemmeno a parlare bene o fare altro. Comunque, dopo un’ora e qualcosa, cercai la via per il bagno, ma mi persi e finii nella cucina del ristorante – era una festa di compleanno e non avevano affittato l’intero locale. Ma lì non ero solo, un ragazzo stava in piedi davanti al bar e cercava di tagliare una papaya. Quella sera lo avevo visto, quando eravamo arrivati. Il suo nome era Danny, ed era tutto ciò che sapevo di lui.
“Ciao” dissi soltanto. Il ragazzo si girò lentamente con ancora il coltello nella mano sinistra. Così mi porse la mano libera per una stretta.
“Ci siamo persi?”
“In verità, sì. Ma credo che tuttavia preferirei stare qui – se non ti dispiace.”
“Oh no, mi piace un po’ di compagnia. Non deve essere molto interessante là fuori, vero?”
“Non conosco la maggior parte di loro” risposi, stringendomi nelle spalle ed infilando una mano nella tasca delle sigarette.
“Anche io, è solo un favore ad un’amica…vuoi da bere?”
Annuii con la testa e rimisi l’accendino in tasca. Ma lui non si mosse e lo guardai perplesso. Realizzai così che non poteva vedermi e persi il fiato per un momento.
“Il fatto che non ti veda non significa che non ti senta”, poi sorrise, “non sentirti a disagio, nemmeno io lo sono” aggiunse.
“No, era solo…come posso aiutarti?”
Si girò verso la sua papaya con un sorriso “Non ho ancora trovato i bicchieri.”
“Immagino che siano tutti fuori.” Ridemmo entrambi ed iniziai a cercare le cose di cui avevamo bisogno. Io non avevo avuto mai a che fare con persone cieche fino a quella sera, ma non era diverso dal parlare con qualunque altra persona. Danny non tendeva a giustificare qualsiasi cosa che faceva con la sua cecità, e faceva tutto ciò che la gente che poteva vedere faceva. Non vi era quasi nessuna differenza tra lui e loro. Inoltre qualche volta scherzava e raccontava barzellette su uomini ciechi.
Quando trovai i bicchieri, li misi vicino a lui e mi spiegò che non era necessario guidarlo per qualche parte o dargli le cose. Che avrei dovuto trattarlo come qualsiasi altra persona e dirgli soltanto dove erano posizionate le cose. Così feci come mi era stato detto, e mi trovai molto bene; Danny era perfetto per eliminare le difficoltà che potevano esserci all’inizio. Ad un certo punto rimase a bocca aperta, e posò il coltello di lato, tenendo la mano destra nella sua sinistra -era mancino- che stava sanguinando un po’.
“Dovrei guardare meglio ciò che faccio” disse ridendo.
Feci un gesto ma realizzai che era inutile, lui non poteva vederlo ad ogni modo. Mi avvicinai e presi la sua mano ferita portandolo verso il lavandino per sciacquare via il sangue. Fortunatamente, trovai una scatola di cerotti in un cassetto, e giocai a fare il medico - non pensare che questo sia solo un trucco per incontrare persone .- Non cercò di togliere la mano o dire qualcosa per fermare le mie azioni.
“ Va bene così” disse in modo rassicurante. E scoppiamo a ridere.
Finimmo seduti sulle piastrelle, poggiati alla credenza, a parlare. Gli dissi del mio lavoro e scoprimmo che suo fratello lavorava per una società che avevamo rifornito di mobili d’ufficio. Lui lavorava in un centro per ragazzi disabili, insegnava loro come leggere il braille e migliorare le proprie capacità uditive. Amava lavorare con le persone, riusciva a fare amicizia con chiunque incontrava - una cosa che ancora ammiro di lui.
Comunque, non gli erano mai tanto piaciute le feste, perché odiava la gente ubriaca. Una volta si arrabbiò con me, dopo un mese circa della nostra relazione, perché avevo bevuto ed avevo litigato con suo fratello. Ok, saremmo finiti con il pestarci l’uno l’altro ed io gli sferrai un pugno in un occhio talmente forte che suscitò incertezza nella diagnosi del medico, che non poté dire se in futuro avrebbe continuato a vedere o no con quell’occhio. Dio, ricordo ancora come Danny urlò e quanto imprecò, con parole che persino mia madre non aveva mai usato contro di me. Così da allora non ho mai più bevuto quando sapevo che Danny era a casa.
Ad ogni modo, ritorniamo alla festa di Cleo. Dopo un momento di silenzio, lui si girò e mi sorrise. C’era ancora la musica e tuttavia non mancavamo agli atri ospiti. Per non parlare di molti di loro che non erano a conoscenza nemmeno della nostra esistenza.
“Voglio sapere come sei” mi disse piano.
Lo guardai un po’ accigliato fino a quando non compresi. Allora presi le sue mani e le guidai sul mio viso e lo lasciai esplorare. Si prese il suo tempo, fece scorrere le sue dita su ogni centimetro della mia pelle, dalla fronte fino agli occhi, poi alla bocca e alle guance, sorridendo infine per la barba.
Il suo volto era sbarbato e i suoi occhi erano di un verde intenso, non indossava mai occhiali da sole o roba simile. I suoi capelli erano castani e corti, e si potevano vedere le orecchie piccole, arrossate sui bordi.
Aprii un po’ le labbra quando le toccò e si fermò ‘fissandomi’ subito.
“Sei bello” sussurrò.
Anche se non mi stava più toccando, il suo volto era vicino al mio e non riuscii a resistere, così afferrai il suo mento delicatamente ed avvicinai la sua bocca alla mia. Beh, dopo quel piccolo bacio si tirò indietro.
“ In verità, io non bacio la gente quando non mi aspetto nulla” mi disse rivolgendomi con un’ espressione dubbiosa che mi fece sogghignare.
“ Nemmeno io.”
Tornai a casa solo quella notte,ma ci incontrammo il giorno dopo e circa un mese più tardi si trasferì da me.
Jared aveva guardato Colin per tutto il tempo che aveva parlato, senza perdersi nei suoi pensieri. Si sentì come se stando in piedi proprio al centro di quella cucina, li stesse guardando, come un fantasma, senza essere notato. Sapeva che Colin non si sarebbe fermato, ma allo stesso tempo per lui era difficile andare avanti. I suoi occhi erano puntati sul libro che Jared aveva in grembo ed aveva le mani poggiate debolmente sulle cosce. Jared sapeva che lui in quel momento non esisteva per Colin. Ma era meglio così; Colin doveva essere lasciato solo con i suoi ricordi. Jared era lì solo per ascoltare; non lo vedeva in quel momento, ed era perfetto così. Poi si inumidì le labbra e si tirò su.
“ Settembre scorso, avevamo deciso di andare in Irlanda a trovare la mia famiglia. Eravamo stati lì anche anni prima, e quella volta mio fratello voleva venire così avrebbe finalmente incontrato Danny.
Non erano nemmeno le 6 quando un rumore mi svegliò, e quando mi guardai intorno vidi Danny completamente vestito e pronto per andare da qualche parte.
‘ Per amor del cielo, altre due ore…per favore!Non è ancora l’alba ’ gemetti e seppellii la faccia tra i cuscini. Ma Danny tirò via la mia coperta e mi lasciò gelare nel freddo della camera da letto.
‘Che sia l’alba o no, io non posso vederla in ogni caso. Ora tira fuori le tue chiappe dal letto, sistema i bagagli e io scendo di sotto a preparare la colazione.’
‘ C’è ancora un po’ di pizza in frigo’ provai a dire, ma Danny non era soddisfatto. Così mi alzai e nel cercare di raggiungerlo inciampai nella camera da letto. Era molto più bravo di me nel trovare la via da seguire in un ambiente buio. Baciandolo mi assicurai che avesse i soldi giusti in tasca e lo lasciai andare.
In un primo momento non mi chiesi dov’era, perché non c’era niente di strano nel fatto che si prendesse un po’ di tempo per sé. Avrebbe parlato con il signor Duncan, il proprietario del negozio a due isolati di distanza, dove noi facevamo colazione quasi tutte le mattine. Ma dopo due ore e mezza, iniziai a preoccuparmi, e mi vestii per andare a cercarlo. Fu allora che sentii bussare alla porta.
Risposi – due uomini in lunghi cappotti neri, stavano lì davanti a me, scrutandomi. Mi dissero che facevano parte dell’unità speciale per i crimini sessuali e mi chiesero se conoscevo Danny.Il mio cuore smise di battere per un secondo prima di riuscire ad annuire col capo.
‘ Siamo veramente dispiaciuti di dirle che il suo corpo è stato trovato circa un’ora fa a pochi isolati di distanza da questo edificio.’
Da allora non sono stato in grado di scacciar fuori dalla mia mente quella frase.
‘Ma, voleva solo…lui voleva soltanto…’- non riuscii a finire il discorso, e non ricordai nulla dopo ciò, per un po’ di tempo. Dovevo aver oscurato l’accaduto. Non poteva essere vero, pensai, e sarebbe ritornato da me dopo pochi minuti. Ma non è mai più tornato, era proprio andato via. E io non avevo nemmeno avuto la possibilità di salutarlo un’ultima volta. Danny non sarebbe mai più ritornato.
L’ultima volta che lo vidi nella sua bara con i suoi begli occhi chiusi e le mani fredde, le accarezzai per cercare di riscaldarle un po’, ma non funzionò. Non sarebbe dovuto essere così freddo nel lasciare questo maledetto mondo. Potei vedere quanto era stato truccato per non far apparire i segni delle botte. Infatti, aveva l’aspetto di un angelo finalmente pronto a volare.
Quando chiusero la bara, non riuscii nemmeno a piangere, e pensai che nulla sarebbe andato più bene ormai. Nessuno avrebbe pianto per Danny, che era la personificazione della vita stessa e non volevamo rovinare la sua memoria cambiandola.
Qualche giorno dopo il funerale, catturarono l’uomo che aveva ammesso l’omicidio. Mi dissero che il ragazzo aveva voluto i soldi di Danny e quando lui si era rifiutato lo aveva attaccato- un uomo cieco che non era in grado di difendersi contro un lurido tossico. Sì, quel bastardo era un drogato, una puttana, che cercava soldi per la dose successiva. Aveva picchiato così forte Danny, che aveva due costole rotte e i polmoni perforati. La sua faccia non era niente di più che una massa nera, blu e rossa, ed infine strozzato dal suo stesso sangue giaceva in quella stradina, privo di sensi, indifeso - solo.
La condanna per l’assassino di Danny fu un periodo di quattro settimane presso una struttura di recupero perché era sotto l’effetto degli stupefacenti quando aveva commesso l’omicidio colposo .
Colin inaspettatamente si fermò e mise il libro da parte, le sue nocche era diventate bianche, le mani gli tremavano. Per qualche ragione si sentì meglio - sollevato per aver rotto la prigione dei suoi ricordi.
Jared rimase in silenzio, non c’era nulla che avrebbe potuto dire. Non c’era da meravigliarsi del fatto che Colin fosse stato così ostile nei suoi confronti, ai suoi occhi era sembrato solo un’altra puttana colpevole. Allora riuscì a comprendere la situazione, ma per certi versi continuava a non capire. Come poteva Colin sopportate tutto quel dolore nel cuore e lasciar rimanere Jared comunque?
Non sembrava eroismo, ma più un modo disperato per sbarazzarsi di tutto quello che riguardava quel passato. Jared sapeva come tenere nascosti i brutti ricordi e come fuggire da loro, e sapeva anche che questo non significava assolutamente sbarazzarsene.
I ricordi lo avrebbero perseguitato dovunque ed anche organizzando una fuga lo avrebbero trovato di nuovo, ancora e ancora.
“Posso scendere a prendere la posta”, disse Jared, proponendo un motivo per poter lasciare Colin da solo un minuto o due. Colin sorrise debolmente e annuì, dopo si girò verso le carte e i documenti rimasti sul pavimento.
Quando sentì la porta chiudersi, si asciugò le lacrime che gli rigavano il viso, e iniziò a risistemare tutte le cose nel cassetto della credenza. Per esse, era giunto il tempo di riemergere di nuovo, e dopo si era sentito decisamente meglio, come se avesse finalmente lasciato andare via la mano di Danny per iniziare qualcosa di nuovo.
Danny era ancora lì - ma lo aveva fatto ritirare in un angolo remoto della sua mente, dove lo avrebbe tenuto al sicuro. E si disse che andava bene, così da allora avrebbe potuto guardare avanti ed affrontare la sofferenza.
Danny era morto, non lui, e avrebbe smesso di vivere nel passato. C’era qualcosa di nuovo all’orizzonte, qualcuno forse. Era tempo di smettere di sognare e andare avanti. Ricordare era tutto quello di cui aveva bisogno per continuare a vedere Danny, ed andava bene. Non avrebbe avuto bisogno di nient’altro per essere felice e sapere che Danny lo era stato per tutta la vita. Anche se era finita, quell’amore non si sarebbe proprio fermato. Aveva baciato Danny dicendogli addio ed era pronto per svegliarsi di nuovo, proprio in quella nuova esperienza in cui si stava per tuffare. Le paure erano state superate per poter iniziare una nuova vita senza il dolore per Danny.
Chiudendo le ante della credenza, sussurrò in un modo a malapena udibile “Addio amore…”
Sospirando, si appoggiò al divano e guardò la credenza per un po’. Finalmente si era conclusa, e qualcosa di nuovo poteva avere inizio.
Jared si sedette per terra, poggiato al muro accanto alla porta di casa di Colin, ed aspettò. Voleva dargli un po’ di tempo per riprendersi e fermare la sua voglia urgente di fargli domande. Era senza dubbio il momento sbagliato. Colin era davvero una persona speciale, lo aveva ospitato e curato, nonostante forse avesse visto in lui quel tossico che aveva ucciso il suo ragazzo. Un brivido gli attraversò la schiena, pensare all’ultima immagine di Danny era una sensazione orribile e non avrebbe mai voluto sapere cosa si provasse nel perdere la persona che amavi. Bene, era quasi certo che ciò non sarebbe mai accaduto, lui non era una persona in grado di amare – lo credeva ancora. Ma cos’era per Colin? Provava ancora quelle sensazioni allo stomaco, ed era strano - ma bello. Come immaginare le farfalle di cui tutti parlavano. Gli piaceva Colin, ma si trattava di ciò che lui credeva potesse essere amore oppure no?
Scosse la testa, si mise in piedi e bussò, ‘una puttana non poteva amare!’ Ma poteva rendere la vita di altre persone più piacevole.
Dopo una doccia, Colin chiese a Jared se poteva aiutarlo con i pacchi di Cleo ed andarono a casa sua. Passarono l’intera serata lì. Era un lavoro difficile riuscire a metter su qualcosa che doveva essere una specie di libreria. Cleo l’aveva comprata quasi sei mesi prima e non aveva mai trovato il tempo di portarla a casa di Colin.
Comunque, in realtà aveva chiesto a Colin soltanto di portargliela su dalla cantina, ma non avrebbe fatto male a nessuno ricostruirla. Ok, sembrava più dura di qualsiasi altra cosa, ma almeno dava loro qualcosa di utile da fare durante il giorno. E Jared sembrava stare meglio quando sapeva di non essere un peso per Colin e poteva aiutarlo in qualche lavoretto.
E dopo cena, Jared era riuscito a convincerlo che era in grado di dormire su quel dannato divano.
“Se vuoi romperti maledettamente la schiena, allora non mi preoccupo” e ad aveva rinunciato così a litigare.
Erano circa le due quando Jared si svegliò per la millesima volta, rimanendo disteso ancora per qualche momento. Stava pensando di andare da Colin ma sarebbe stato come ammettere che non riusciva a dormire. No, inoltre non era una buona ragione per svegliarlo e disturbarlo. Ma d’altra parte, sentiva che era arrivato il momento di ringraziarlo per tutto ciò che aveva fatto, per tutto quel tempo. E doveva dimostrargli che ne era valsa la pena ascoltare quello che Colin aveva deciso di dirgli. Calciò via le coperte, si alzò e s’intrufolò nella camera da letto.
Colin strabuzzò gli occhi quando sentì dei movimenti nella stanza. Di solito il rumore della pioggia contro la finestra riusciva a svegliarlo. Si strofinò il viso e si accorse di Jared, seduto a gambe incrociate sul pavimento, di fronte al suo letto. In verità non era sorpreso e sorrise dolcemente, ancora un po’ assonnato.


 
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